Nel prossimo numero della rivista Sociologia della Comunicazione compare una mia recente intervista a Derrick de Kerckhove,
molto presente in Italia negli ultimi anni perchè coinvolto in unsa
serie di progetti e nella didattica di alcune Università. Di seguito
riporto la prima parte di un piccolo estratto che riguarda in
particolare alcune riflessioni sul presente e futuro della rete.
Giovanni Boccia Artieri: Rispetto alla riflessione presente
nei tuoi ultimi lavori, Brainframes e La pelle della cultura , il
mediascape è mutato. Non tanto perché il computer è entrato nella
quotidianità delle nostre vite, non solo perché il suo brainframe si è
specificato in relazione agli individui ma soprattutto per l’emergere
della forma del network come dimensione centrale, per l’affermarsi del
web come nuovo ambiente socio-cognitivo. La crescita di social media, di
spazi connettivi per le presenze sul web, di forme collaborative di
produzione e diffusione del sapere come wikipedia, rendono visibile il
reale progetto sotteso al brainframe computazionale. Dietro questa
centralità del network secondo te cosa troviamo? Qual è l’ambito di
maggior interesse per lo sviluppo dei tuoi studi al riguardo?
Derrick de Kerckhove: Potrei sintetizzare ciò che io osservo
in un modo che ha la potenza di sintetizzare un ambito di analisi
rilevante oggi, e potrei farlo con questo slogan: il tag è il messaggio.
Il tag è la natura propria di Internet. Senza il tag, senza questa
possibilità di condividere i messaggi che vengono trattati e mandarli in
rete in pezzi diversi che seguono rotte diverse, Internet sarebbe un
sistema unicamente punto a punto e non distribuito come di fatto è.
La distribuzione è la metafora di base della cultura attuale: si
ridistribuisce, si decentralizza, si riorganizza, si rendono ubiqui
tutti i punti di connessione con la Rete.
Ciò significa che la realtà che si costruisce non è “punto a punto” ma
piuttosto “end to end”, il che è una cosa incredibile perché si
costruisce una modalità similare a quella della coscienza che funziona,
essa stessa, “end to end”. Abbiamo a che fare cioè con una coscienza
connettiva – anche collettiva: perché vi siamo tutti implicati – perché
ognuno di noi appartiene a reti specifiche e specializzate a partire
dalle proprie competenze, reti che si connettono ad altre reti, reti che
sono spesso completamente aperte consentendo alle persone di accedere e
portare le loro competenze. Reti di sapere diffuso come wikipedia, reti
di relazione tra identità diverse come MySpace, reti di supporto alla
salute come nella telemedicina, ecc.
In senso ironico possiamo dire che ci troveremo a dover fare una vera e
propria zoologia della rete distinguendo tra specie di reti differenti.
Quello che è certo è che ci troviamo di fronte a reti che hanno forme
totalmente diverse per continuità, coerenza, consistenza e sostanza.
Giovanni Boccia Artieri: La natura di questa realtà “end to
end” è quindi profondamente relazionale, costruita attorno alle
possibilità e alle occasioni di connessione. La dimensione tecnologica
della connettività è ovviamente centrale per delineare gli scenari
futuri della cultura all’epoca del network e per definire la natura
delle reti che vanno costruendosi. Pensandoci attraverso la tecnica,
quali sono i modelli che al momento secondo te aprono le prospettive
maggiori di una società connettiva?
Derrick de Kerckhove: Per il momento la tecnologia che
secondo me influenzerà maggiormente la cultura è il wireless perché è
una tecnologia che può mettere tutti in contatto con tutti e con tutto.
Wireless significa poter essere in contatto con una memoria e
un’intelligenza globale sempre e ovunque. È la connettività che entra
nella dimensione quotidiana con una semplicità che cresce giorno dopo
giorno. Ed è la più globalizzante di tutte le nostre tecnologie, perché
fa implodere il mondo su se stesso ed è capace di mostrare le
implicazione che tutto questo ha sulla nostra corporeità.
Io non penso infatti che si possa dire che stiamo perdendo il nostro
corpo attraverso una sua disseminazione nelle reti. Si tratta di una
suggestione tutto sommato romantica. Penso invece che sia vero
l’opposto, cioè che non ci troviamo di fronte alla perdita della nostra
corporeità, ma che invece la stiamo estendendo: estendiamo il nostro
corpo e ridistribuiamo la nostra sensorialità a tal punto da portare le
reti al livello della nostra epidermide.
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