lunedì 2 gennaio 2017

Freedom of Information Act (FOIA)

Da oggi gli italiani avranno un diritto in più. 
Dopo una campagna durata più di due anni e un estenuante iter di approvazione, il Freedom of Information Act (FOIA) entra finalmente in vigore anche in Italia. 
Giornalisti, ricercatori, organizzazioni non governative, normali cittadini potranno finalmente avere accesso libero a dati, documenti, informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni, senza dover dimostrare di avere un interesse diretto per l’oggetto ricercato. 

Teoricamente, potrebbe trattarsi di una rivoluzione copernicana in materia di trasparenza: fino ad ora a regolare il diritto di accesso era la legge 241/90 che consentiva ai cittadini di richiedere documenti della pubblica amministrazione solo dimostrando un interesse diretto, concreto e attuale per le informazioni domandate. 
Formula che di fatto rendeva inaccessibili molti dati scottanti, ad esempio in materia di inquinamento, di performance delle società partecipate o di spese degli amministratori pubblici. 

In realtà, il FOIA italiano partirà con qualche pesante limitazione che potrebbe comprometterne la funzione di strumento a disposizione della società civile per monitorare l’operato della pubblica amministrazione contribuendo anche a prevenire corruzione, sprechi, illegalità.

L’Italia, fino a poco fa, compariva 97esima nel Global Right to Information Rating: il mancato riconoscimento del diritto di accesso generalizzato, legge in oltre 90 Paesi del mondo, faceva della Penisola la cenerentola delle democrazie occidentali. 

È bastato che il governo votasse il FOIA, approvato in Consiglio dei ministri il 16 maggio di quest’anno, per far guadagnare alla Penisola ben 43 posizioni nella classifica mondiale sul diritto d’accesso. Senza che neppure fosse entrato in vigore e che i cittadini avessero modo di avvalersene.

Come hanno raccontato Ernesto Belisario e Guido Romeo nel loro libro Silenzi di stato, dedicato alla trasparenza negata, nel 2011 tutti i loro interlocutori internazionali al summit dell’Open Government Partnership di Brasilia restavano sbigottiti nell’apprendere che in Italia fosse impossibile accedere liberamente alle informazioni detenute dalla pubblica amministrazione.

Un diritto che in Svezia, per esempio, esiste dal 1766. E che negli Stati Uniti, Paese considerato un punto di riferimento globale in materia di trasparenza, venne riconosciuto nel 1966, nel pieno della guerra in Vietnam, sull’onda delle rivendicazioni dei movimenti per i diritti civili.

Nasce proprio dalla constatazione dell’arretratezza italiana la campagna per veder riconosciuto anche nella Penisola quello che altrove è considerato un vero diritto umano. Oltre 30 organizzazioni della società civile si sono coalizzate nel 2014 dando vita a Foia4Italy, un coordinamento che si è posto un unico, grande obiettivo: quello di permettere anche agli italiani di poter sapere se la scuola in cui mandano i loro figli si trova in una zona a rischio idrogeologico, se l’edificio in cui lavorano è contaminato dall’amianto, se il Comune in cui votano ha fatto investimenti azzardati in derivati. Accanto alla bozza di proposta di legge, Foia4Italy ha lanciato una petizione chiedendo agli italiani di firmare per vedere riconosciuto il loro diritto di sapere.
La coalizione è stata uno straordinario e fortunato esperimento che ha dimostrato come la società civile, se unita, può raggiungere inaspettati risultati: oltre 88mila firmatari, il coinvolgimento dapprima dell’Intergruppo parlamentare Innovazione come primo interlocutore politico e, poi, del ministro Madia che ha fatto del FOIA una sua battaglia personale. Ma soprattutto la tenacia nel seguire tutte le lunghe fasi di approvazione, dalla delega parlamentare contenuta nella riforma della pubblica amministrazione, alla prima approvazione del decreto trasparenza il 20 gennaio 2016, ai pareri espressi tra gli altri dal Consiglio di Stato e dall’Autorità nazionale anticorruzione che hanno permesso di ribaltare un testo inizialmente molto carente. Ogni volta, rilanciando, facendo attività di lobbying sui decisori pubblici ma cercando sempre di avere l’opinione pubblica dalla propria parte, non dimenticando mai che dovranno essere i cittadini ad approfittare del diritto di accesso.
Il testo approvato in via definitiva il 16 maggio 2016 (d. Lgs. 97/2016) non è certo all’avanguardia ma rappresenta comunque un enorme passo avanti: se fino ad oggi, assecondando una tendenza paternalistica in materia di trasparenza, era la pubblica amministrazione a stabilire quali dati e informazioni divulgare (andava in questa direzione il seppur meritorio d. Lgs. 33/2013 che ha reso obbligatoria per la PA la messa online di una consistente mole di documentazione, a cominciare dai bilanci e dalle consulenze). Ora, col Freedom of Information Act, al centro dovrebbe essere il cittadino, con la sua libertà di consultare le informazioni di governo, pubblica amministrazione e società partecipate, senza motivare la ragione della richiesta.
Non a caso all’inizio dell’articolo abbiamo usato l’avverbio “teoricamente”, perché nella pratica non sarà tutto così semplice. È vero che tutti potranno fare richieste di accesso all’amministrazione che ritengono più interessante o con i dati più scottanti. Tuttavia, il FOIA italiano presenta un numero considerevole di eccezioni, cioè le materie su cui sarà difficile se non impossibile fare domande di accesso. Eccezioni che suonano come troppo generiche e che potrebbero rappresentare un alibi per la PA nel negare il diritto di accesso. Un esempio per tutti? Le amministrazioni potranno rifiutare le richieste dei cittadini in presenza di “interessi pubblici inerenti la politica e la stabilità economica e finanziaria dello Stato”, che potrebbe però tradursi nell’impossibilità di conoscere i titoli tossici in pancia al nostro Tesoro. Problema che non andrebbe nascosto ai principali azionisti dello Stato, i cittadini.
È anche il confronto con la legislazione americana a destare qualche perplessità: mentre i giornalisti statunitensi hanno avuto la possibilità di accedere alle email inviate da Hillary Clinton appellandosi semplicemente alla Freedom of Information, in Italia sarà molto difficile riuscire ad accedere alla corrispondenza del Presidente del consiglio. Nonostante queste dubbie limitazioni, che dovrebbero almeno in parte essere controbilanciate dalle linee guida di ANAC, nate col proposito di aiutare le PA a districarsi tra le domande di giornalisti e cittadini che inizieranno a fioccare proprio sotto Natale, e oggi criticate dagli esperti di Foia4Italy benché non siano ancora definitive, gli italiani si vedranno finalmente riconosciuti alcuni principi già ampiamente diffusi altrove. In prima istanza, quello della gratuità del diritto di accesso; poi, quello dell’obbligo da parte dell’amministrazione di fornire una spiegazione qualora decidesse di rifiutare l’accesso; inoltre, la possibilità di ricorrere a vie stragiudiziali per ricorrere nei casi di mancata o negativa risposta.
A partire da oggi sarà perciò sufficiente mandare una mail (non è ancora chiaro, in assenza di una versione finale delle linee guida di Anac, se il richiedente dovrà in qualche modo rendersi identificabile) all’ufficio relazioni col pubblico o direttamente a chi si presume detenga le informazioni di interesse indirizzando una richiesta circostanziata. Per capire se le Pubbliche amministrazioni si saranno adeguate al nuovo diritto di accesso generalizzato serviranno alcuni mesi di rodaggio, un monitoraggio puntuale che verifichi la virtuosità degli uffici e una massiccia campagna informativa che spieghi ai cittadini le potenzialità del Freedom of Information Act. Perché senza l’interesse e la pressione dell’opinione pubblica la trasparenza rischia di naufragare. Per fortuna c’è chi sta già correndo ai ripari: Diritto di sapere, associazione specializzata proprio nell’accesso alle informazioni pubbliche, ha lanciato Chiedi, una piattaforma che si propone di aiutare chiunque voglia veder riconosciuto il suo diritto di ottenere le informazioni desiderate insegnando a formulare le richieste nel modo corretto e indirizzandole all’istituzione giusta. I dati raccolti serviranno poi per mappare la pubblica amministrazione valutandone tempi di risposta e disponibilità a fornire la documentazione. E ora, siete pronti a raccogliere la sfida della trasparenza?
23 dicembre, 2016

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