Da oggi gli italiani avranno un
diritto in più.
Dopo una campagna durata più di due anni e un estenuante
iter di approvazione, il Freedom of Information Act (FOIA) entra
finalmente in vigore anche in Italia.
Giornalisti, ricercatori,
organizzazioni non governative, normali cittadini potranno finalmente
avere accesso libero a dati, documenti, informazioni in possesso delle
pubbliche amministrazioni, senza dover dimostrare di avere un interesse
diretto per l’oggetto ricercato.
Teoricamente, potrebbe trattarsi di una
rivoluzione copernicana in materia di trasparenza: fino ad ora a
regolare il diritto di accesso era la legge 241/90 che consentiva ai
cittadini di richiedere documenti della pubblica amministrazione solo
dimostrando un interesse diretto, concreto e attuale per le informazioni
domandate.
Formula che di fatto rendeva inaccessibili molti dati
scottanti, ad esempio in materia di inquinamento, di performance delle
società partecipate o di spese degli amministratori pubblici.
In realtà,
il FOIA italiano partirà con qualche pesante limitazione che potrebbe
comprometterne la funzione di strumento a disposizione della società
civile per monitorare l’operato della pubblica amministrazione
contribuendo anche a prevenire corruzione, sprechi, illegalità.
L’Italia,
fino a poco fa, compariva 97esima nel Global Right to Information
Rating: il mancato riconoscimento del diritto di accesso generalizzato,
legge in oltre 90 Paesi del mondo, faceva della Penisola la cenerentola
delle democrazie occidentali.
È bastato che il governo votasse il FOIA,
approvato in Consiglio dei ministri il 16 maggio di quest’anno, per far
guadagnare alla Penisola ben 43 posizioni nella classifica mondiale sul
diritto d’accesso. Senza che neppure fosse entrato in vigore e che i
cittadini avessero modo di avvalersene.
Come hanno raccontato Ernesto Belisario e Guido Romeo nel loro libro Silenzi di stato, dedicato alla trasparenza negata, nel 2011 tutti i loro interlocutori internazionali al summit dell’Open Government Partnership di Brasilia restavano sbigottiti nell’apprendere che in Italia fosse impossibile accedere liberamente alle informazioni detenute dalla pubblica amministrazione.
Un diritto che in Svezia, per esempio, esiste dal 1766. E che negli Stati Uniti, Paese considerato un punto di riferimento globale in materia di trasparenza, venne riconosciuto nel 1966, nel pieno della guerra in Vietnam, sull’onda delle rivendicazioni dei movimenti per i diritti civili.
Nasce proprio dalla
constatazione dell’arretratezza italiana la campagna per veder
riconosciuto anche nella Penisola quello che altrove è considerato un
vero diritto umano. Oltre 30 organizzazioni della società civile si sono
coalizzate nel 2014 dando vita a Foia4Italy,
un coordinamento che si è posto un unico, grande obiettivo: quello di
permettere anche agli italiani di poter sapere se la scuola in cui
mandano i loro figli si trova in una zona a rischio idrogeologico, se
l’edificio in cui lavorano è contaminato dall’amianto, se il Comune in
cui votano ha fatto investimenti azzardati in derivati. Accanto alla
bozza di proposta di legge, Foia4Italy ha lanciato una petizione
chiedendo agli italiani di firmare per vedere riconosciuto il loro
diritto di sapere.
La coalizione è stata uno
straordinario e fortunato esperimento che ha dimostrato come la società
civile, se unita, può raggiungere inaspettati risultati: oltre 88mila
firmatari, il coinvolgimento dapprima dell’Intergruppo parlamentare
Innovazione come primo interlocutore politico e, poi, del ministro Madia
che ha fatto del FOIA una sua battaglia personale. Ma soprattutto la
tenacia nel seguire tutte le lunghe fasi di approvazione, dalla delega
parlamentare contenuta nella riforma della pubblica amministrazione,
alla prima approvazione del decreto trasparenza il 20 gennaio 2016, ai
pareri espressi tra gli altri dal Consiglio di Stato e dall’Autorità
nazionale anticorruzione che hanno permesso di ribaltare un testo
inizialmente molto carente. Ogni volta, rilanciando, facendo attività di
lobbying sui decisori pubblici ma cercando sempre di avere l’opinione
pubblica dalla propria parte, non dimenticando mai che dovranno essere i
cittadini ad approfittare del diritto di accesso.
Il testo approvato in via definitiva il 16 maggio 2016 (d. Lgs. 97/2016)
non è certo all’avanguardia ma rappresenta comunque un enorme passo
avanti: se fino ad oggi, assecondando una tendenza paternalistica in
materia di trasparenza, era la pubblica amministrazione a stabilire
quali dati e informazioni divulgare (andava in questa direzione il
seppur meritorio d. Lgs. 33/2013 che ha reso obbligatoria per la PA la
messa online di una consistente mole di documentazione, a cominciare dai
bilanci e dalle consulenze). Ora, col Freedom of Information Act, al
centro dovrebbe essere il cittadino, con la sua libertà di consultare le
informazioni di governo, pubblica amministrazione e società
partecipate, senza motivare la ragione della richiesta.
Non
a caso all’inizio dell’articolo abbiamo usato l’avverbio
“teoricamente”, perché nella pratica non sarà tutto così semplice. È
vero che tutti potranno fare richieste di accesso all’amministrazione
che ritengono più interessante o con i dati più scottanti. Tuttavia, il
FOIA italiano presenta un numero considerevole di eccezioni, cioè le
materie su cui sarà difficile se non impossibile fare domande di
accesso. Eccezioni che suonano come troppo generiche e che potrebbero
rappresentare un alibi per la PA nel negare il diritto di accesso. Un
esempio per tutti? Le amministrazioni potranno rifiutare le richieste
dei cittadini in presenza di “interessi pubblici inerenti la politica e
la stabilità economica e finanziaria dello Stato”, che potrebbe però
tradursi nell’impossibilità di conoscere i titoli tossici in pancia al
nostro Tesoro. Problema che non andrebbe nascosto ai principali
azionisti dello Stato, i cittadini.
È anche il
confronto con la legislazione americana a destare qualche perplessità:
mentre i giornalisti statunitensi hanno avuto la possibilità di accedere
alle email inviate da Hillary Clinton appellandosi semplicemente alla
Freedom of Information, in Italia sarà molto difficile riuscire ad
accedere alla corrispondenza del Presidente del consiglio. Nonostante
queste dubbie limitazioni, che dovrebbero almeno in parte essere
controbilanciate dalle linee guida di ANAC, nate col proposito di
aiutare le PA a districarsi tra le domande di giornalisti e cittadini
che inizieranno a fioccare proprio sotto Natale, e oggi criticate dagli
esperti di Foia4Italy
benché non siano ancora definitive, gli italiani si vedranno finalmente
riconosciuti alcuni principi già ampiamente diffusi altrove. In prima
istanza, quello della gratuità del diritto di accesso; poi, quello
dell’obbligo da parte dell’amministrazione di fornire una spiegazione
qualora decidesse di rifiutare l’accesso; inoltre, la possibilità di
ricorrere a vie stragiudiziali per ricorrere nei casi di mancata o
negativa risposta.
A partire da oggi sarà perciò
sufficiente mandare una mail (non è ancora chiaro, in assenza di una
versione finale delle linee guida di Anac, se il richiedente dovrà in
qualche modo rendersi identificabile) all’ufficio relazioni col pubblico
o direttamente a chi si presume detenga le informazioni di interesse
indirizzando una richiesta circostanziata. Per capire se le Pubbliche
amministrazioni si saranno adeguate al nuovo diritto di accesso
generalizzato serviranno alcuni mesi di rodaggio, un monitoraggio
puntuale che verifichi la virtuosità degli uffici e una massiccia
campagna informativa che spieghi ai cittadini le potenzialità del
Freedom of Information Act. Perché senza l’interesse e la pressione
dell’opinione pubblica la trasparenza rischia di naufragare. Per fortuna
c’è chi sta già correndo ai ripari: Diritto di sapere, associazione
specializzata proprio nell’accesso alle informazioni pubbliche, ha
lanciato Chiedi, una
piattaforma che si propone di aiutare chiunque voglia veder riconosciuto
il suo diritto di ottenere le informazioni desiderate insegnando a
formulare le richieste nel modo corretto e indirizzandole
all’istituzione giusta. I dati raccolti serviranno poi per mappare la
pubblica amministrazione valutandone tempi di risposta e disponibilità a
fornire la documentazione. E ora, siete pronti a raccogliere la sfida
della trasparenza?
23 dicembre, 2016
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